11 LUGLIO 1995

Anpi3Roma
9 min readJul 9, 2023

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ECCIDIO DI SREBRENICA (BOSNIA ED ERZEGOVINA)

“… Là dentro sono rimasti i vestiti strappati alle donne stuprate. Ci hanno tirato fuori, e messi in fila. Qui, proprio qui dove sono io adesso, hanno violentato la mia sorella più grande che aveva 17 anni. Poi hanno costretto due uomini anziani a fare sesso orale fra loro. E poi ci hanno caricato sui camion”.

“Ci hanno caricati sui camion — continua Zijo — e portati vicino alla moschea di Malici, dove avevano già scavato la fossa comune. Ci tiravano giù e sparavano alla testa, uno alla volta. Ho visto mia mamma e il mio fratellino piccolo che venivano fatti scendere, e piangevo disperato. Un cetnico mi ha detto: stai tranquillo, la rivedrai presto. Mi hanno portato davanti al camion, sentivo i colpi, e poi un fendente di coltello al collo. Mi hanno buttato sopra gli altri cadaveri. Avevo i capelli lunghi, impastati di sangue. Ho camminato sopra i corpi, e nel buio sono scappato dentro al bosco lì vicino”.

Zijo Ribic.Sopravvissuto

Il massacro di Srebrenica è stato un genocidio avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina nel 1995.

Migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi l’11 luglio 1995 dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić, con l’appoggio del gruppo paramilitare degli “Scorpioni”, nella zona protetta di Srebrenica che si trovava al momento sotto la tutela delle truppe olandesi delle Nazioni Unite.

I fatti avvenuti a Srebrenica in quei giorni diedero una svolta decisiva al successivo andamento del conflitto.Nel quarto punto della risoluzione 819 del 16 aprile 1993 l’ONU decise di incrementare la propria presenza nella città di Srebrenica e nelle zone limitrofe; successivamente, il 6 maggio con la risoluzione 824, istituì come zone protette le città di Sarajevo, Tuzla, Zepa, Goražde, Bihać e Srebrenica; inoltre, con la risoluzione 836, dichiarò che gli aiuti umanitari e la difesa delle zone protette sarebbero stati da garantire anche all’occorrenza con uso della forza, utilizzando soldati della forza di protezione delle Nazioni Unite.

La cosiddetta zona protetta di Srebrenica fu delimitata dopo un’offensiva serba del 1993 che obbligò le forze bosniache ad una demilitarizzazione sotto controllo dell’ONU. Le delimitazioni delle zone protette furono stabilite a tutela e difesa della popolazione civile bosniaca, quasi completamente musulmana, costretta a fuggire dal circostante territorio, ormai occupato dall’esercito serbo-bosniaco, ed ove decine di migliaia di profughi si recarono in cerca di rifugio. Verso il 9 luglio 1995, la zona protetta di Srebrenica e il territorio circostante furono attaccati dalle truppe della Vojska Republike Srpske, e dopo un’offensiva durata alcuni giorni, l’11 luglio l’esercito serbo-bosniaco riuscì ad entrare definitivamente nella città di Srebrenica. I maschi dai 14 ai 78 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, apparentemente per procedere allo sfollamento, in realtà vennero uccisi e sepolti in fosse comuni.I responsabili politici e militari della strage sono rimasti largamente impuniti: solamente sei dei 19 accusati dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia per il massacro di Srebrenica sono stati finora processati e condannati.

I ministri olandesi responsabili erano al tempo il ministro della difesa Relus ter Beek, il suo successore Joris Voorhoeve ed il ministro degli esteri Hans van Mierlo sotto il primo ministro Wim Kok. I responsabili all’ONU erano il generale francese Janvier e i militari olandesi generale Couzy (comandante in capo), generale van Baal ed il comandante di Dutchbat generale Nicolaï. Il tenente colonnello Thom Karremans era responsabile per l’enclave di Srebrenica, il maggiore Franken per Tuzla.

Il 2 marzo 2007 il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, pur definendo il massacro un genocidio, assolse la Serbia dalle responsabilità e dispose l’arresto dell’ex leader politico serbo bosniaco Radovan Karadzic e del suo capo militare Ratko Mladić. Inteso il genocidio secondo i principi di Norimberga, l’assoluzione sollevò la Serbia dall’obbligo di pagare un indennizzo di guerra alla Bosnia.Secondo le istituzioni ufficiali i morti furono oltre 8.372, sebbene alcune associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime affermino che furono oltre 10.000.

A giugno 2015, 6.930 salme riesumate dalle fosse comuni sono state identificate mediante oggetti personali rinvenuti oppure in base al loro DNA che è stato confrontato con quello dei consanguinei superstiti [8].Il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) istituito presso le Nazioni Unite ha accusato, alla luce dei fatti di Srebrenica, Mladić, Arkan Željko Ražnatović e altri ufficiali serbi di diversi crimini di guerra tra cui il genocidio, la persecuzione e la deportazione. Rosalyne Higgins, britannica e presidente del collegio giudicante di appello, ha dato lettura della sentenza del processo. La sentenza di appello del 26 febbraio è stata votata all’unanimità dal collegio giudicante, e conferma quella di primo grado del 2 agosto 2001, nel riconoscere il massacro di Srebrenica come un genocidio.

Il Tribunale ha respinto la richiesta di indennizzo a favore dei sopravvissuti a Srebrenica. La Corte ha stabilito che quello che avvenne fu un genocidio ad opera di singole persone, ma che lo Stato Serbo non può essere ritenuto direttamente responsabile per genocidio e complicità per i fatti accaduti nella guerra civile in Bosnia-Erzegovina dal 1992 al 1995, fra i quali rientra la strage di Srebrenica.

La Serbia non fu responsabile di genocidio perché “non vi sono prove di un ordine inviato esplicitamente da Belgrado” né di complicità perché non vi sono prove che “l’intenzione di commettere atto di genocidio fosse stata portata all’attenzione delle autorità di Belgrado”, anche se viene riconosciuto che Radovan Karadzic e Ratko Mladić dipendessero da Belgrado, che forniva assistenza finanziaria e militare ed esercitava una influenza sul leader politico serbo-bosniaco e sul capo militare. La Corte rileva che “vi era un serio rischio di massacro, ma la Serbia non ha fatto nulla per rispettare i suoi obblighi di prevenire e punire il genocidio di Srebrenica” e che “ha fallito nel cooperare pienamente con il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, che ha incriminato i responsabili”. In particolare, la Serbia è accusata di non aver aiutato il Tribunale per l’ex Jugoslavia ad arrestare quanti sono ritenuti colpevoli del fatto, e di ospitarne alcuni in stato di latitanza. Il Tribunale per l’ex Jugoslavia ha il compito di accertare responsabilità di singoli individui, mentre la Corte Internazionale dirime controversie fra Stati membri dell’ONU che ne hanno riconosciuto la giurisdizione.

Un video che mostra l’”evidenza dei fatti” fu trovato in possesso di Nataša Kandić, fondatrice e direttrice del Fondo serbo per il Diritto Umanitario, e ritrasmesso dai media e utilizzato come prova nel processo contro Slobodan Milošević alla corte Internazionale dell’Aja. Il 26 febbraio 2007 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja si è pronunciata sul ricorso della Bosnia contro la ex-Jugoslavia, ovvero l’attuale Stato della Serbia. La sentenza afferma che il Montenegro non è parte in causa in quanto si è reso indipendente dalla Serbia solo dal 2006, ben oltre il periodo in cui si sono verificati i fatti oggetti del processo.

Il 31 marzo 2010 il parlamento della Serbia ha approvato dopo quasi 13 ore di discussione una risoluzione in cui condanna il massacro (senza definirlo genocidio) e chiede scusa per le vittime. Il presidente serbo Tomislav Nikolić aveva affermato nel 2012 l’inesistenza e l’inconsapevolezza da parte del popolo serbo di tale massacro. Il 25 aprile del 2013 il presidente serbo in carica, durante un’intervista alla TV bosniaca Bhrt, si è inginocchiato chiedendo perdono per il massacro di Srebrenica.

Tuttavia gran parte di coloro cui è stata attribuita la principale responsabilità della strage, siano essi militari o uomini politici, a parte Ražnatović morto assassinato nel 2000, è tuttora latitante[senza fonte]. Ratko Mladić, invece, è stato arrestato il 26 maggio 2011, dopo 16 anni di latitanza.

Il 25 marzo 2016, Karadzic viene condannato a 40 anni di reclusione per crimini di guerra.

Il 27 giugno 2017, la Corte d’Appello dell’Aja ha stabilito che il governo olandese è parzialmente responsabile della morte di 300 musulmani, perché i soldati olandesi costrinsero i rifugiati che cercavano riparo nel loro compound a lasciare la base, consegnandoli di fatto ai carnefici, «privandoli della possibilità di sopravvivere».

Alle forze Bosniache sotto il comando di Naser Orić era stato permesso di tenere le armi in posizioni all’interno della zona protetta, contrariamente alle condizioni stabilite nel patto col quale si conveniva il “cessate il fuoco”.

Orić approfittò della situazione per condurre attacchi notturni contro villaggi serbi nei dintorni. Il caso più clamoroso fu quello di Kravica, attaccato nella notte del 7 gennaio, il Natale Ortodosso. Queste azioni militari prendevano la forma di pulizia etnica e rappresaglie contro i serbi. Centinaia furono torturati, feriti e brutalmente uccisi durante questi attacchi. Nel 1994 il governo serbo fece istanza all’ONU, fornendo una lista di 371 serbi uccisi nell’area. I media serbi, da allora, hanno riportato numeri molto più alti, fino a 3287. Non è attualmente chiaro quanti di questi fossero civili. Il generale Philippe Morillon dichiarò la sua convinzione che l’attacco serbo su Srebrenica fosse una reazione diretta ai massacri di Naser Orić e delle sue forze avvenuti nel 1992 e nel 1993.

Durante i fatti di Srebrenica i 600 caschi blu dell’ONU e le tre compagnie olandesi Dutchbat I, II, III non intervennero: motivi e circostanze non sono ancora stati del tutto chiariti.

La posizione ufficiale è che le truppe ONU fossero scarsamente armate e non potessero far fronte da sole alle forze di Mladić. Si sostiene, inoltre, che le vie di comunicazione tra Srebrenica, Sarajevo e Zagabria non fossero ottimali, causando ritardi e intoppi nelle decisioni.

Quando i serbi si avvicinarono all’enclave di Srebrenica, il colonnello olandese Karremans diede l’allarme e chiese un intervento aereo di supporto il 6 e l’8 luglio 1995, oltre ad altre due volte nel fatidico 11 luglio. Le prime due volte il generale olandese Nicolaï, che si trovava a Sarajevo, rifiutò di inoltrare la richiesta al generale francese Janvier nel quartier generale dell’ONU a Zagabria perché le richieste non erano conformi agli accordi sulle richieste di intervento aereo. Non si trattava ancora, infatti, di atti di guerra con battaglie a fuoco. L’11 luglio, quando i carri armati serbi erano penetrati nella città, Nicolaï inoltrò la domanda di rinforzi a Janvier, che inizialmente rifiutò. La seconda richiesta dell’11 luglio fu onorata ma gli aerei (F-16) che stavano già circolando da ore in attesa dell’ordine di attaccare avevano nel frattempo ricevuto ordine di tornare alle loro basi in Italia per potersi rifornire di carburante.

Alla fine, solo due F-16 olandesi procedettero ad un attacco aereo, praticamente senza alcun effetto. Un gruppo di aerei americani apparentemente non fu in grado di trovare la strada. Nel frattempo l’enclave era già caduta e l’attacco aereo fu annullato per ordine dell’ONU, su richiesta del ministro Voorhoeve, perché i militari serbi minacciavano di massacrare i caschi blu dell’ONU di Dutchbat.

Gran parte della popolazione ed i soldati olandesi erano già fuggiti e si erano rifugiati nella base militare dell’ONU di Potocari. Davanti alla minaccia ed allo spiegamento di forze di Mladić, i caschi blu decisero di collaborare alla separazione di uomini e donne per poter tenere la situazione sotto controllo, per quanto fosse possibile nelle circostanze.

La città di Srebrenica era comunque inserita nella futura Entità Serba e le prime bozze degli accordi di Dayton non potevano prevedere enclaves. Di fatto la conquista della città da parte dei serbi avrebbe consentito di arrivare a definire la situazione territoriale attuale e, di conseguenza, di portare avanti gli accordi di pace.

I soldati olandesi subirono pesanti accuse da parte dei media al ritorno in patria. Numerosi soldati soffrirono di stress post-traumatico in seguito alla vicenda, e sostengono di essere stati ingiustamente criticati dalla stampa. Il 4 dicembre 2006 il Ministro della Difesa olandese ha decorato con cinquecento medaglie il battaglione di pace che aveva il compito di proteggere Srebrenica. La motivazione fornita dal portavoce olandese precisa che questa non costituisce una medaglia al valore, bensì una forma di ricompensa per le accuse — ritenute ingiuste — a cui i soldati olandesi vennero sottoposti.

Visto il coinvolgimento dei militari olandesi, il governo olandese già nel 1996 ordinò un’inchiesta per stabilire il grado di responsabilità delle truppe di Dutchbat.

I risultati finali furono presentati il 10 aprile 2002. Immediatamente il ministro della difesa olandese Frank de Grave fece sapere di essere pronto a dimettersi. Il 16 aprile, il governo di Wim Kok presentò collettivamente le dimissioni, assumendosi la responsabilità, ma non la colpa del massacro. Il 17 aprile, il capo delle forze armate olandesi, il generale Van Baal, rassegnò anch’egli le sue dimissioni.

Il 4 dicembre 2006 il ministro della difesa olandese ha consegnato la medaglia d’onore al battaglione olandese per il coraggio mostrato a Srebrenica, con l’appoggio della Commissione europea.[senza fonte] Il 6 settembre 2013, il massimo organo giurisdizionale olandese, ha accertato la responsabilità dello Stato nella morte di tre cittadini bosniaci. Tali soggetti, infatti, avevano chiesto di poter essere ospitati nella base dei soldati ONU, ricevendone un diniego. A seguito di tale omissione, i tre bosniaci furono tra le vittime del massacro. Secondo la Suprema Corte olandese la colpa dei militari sarebbe ascritta al fatto della prevedibilità dell’uccisione dei tre cittadini bosniaci alla luce di altri casi avvenuti nella regione.

Tale responsabilità viene confermata anche in sede civile, il 16 luglio 2014, dal Tribunale dell’Aia che condanna lo Stato a risarcire, a favore dei congiunti delle vittime, i danni derivanti da tale massacro.In occasione del ventesimo anniversario di tale avvenimento, è stata proposta una bozza di risoluzione all’ONU per condannare il massacro come genocidio. Tale risoluzione, però, non è stata approvata a causa del veto espresso dalla Russia, che ha motivato la propria scelta affermando come la bozza fosse “aggressiva, non costruttiva e politicamente motivata”. Nel consiglio di sicurezza hanno votato a favore tutti gli altri membri ad eccezione della Cina, del Venezuela, della Nigeria e dell’Angola che si sono astenuti.

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L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è un’associazione fondata dai partecipanti alla resistenza italiana contro l’occupazione nazifascista.

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