12 MARZO 1945

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8 min readMar 7, 2023

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VENEZIA.LA BEFFA DEL TEATRO GOLDONI

“..Orcali e Chinello entrarono mascherati e armi in pugno sulla ribalta e tennero comizio. “Nessuno si muova! Se in teatro c’è spia e traditore fascista venga fuori che riceverà il piombo partigiano” — fu gridato all’interno dalla voce di Citton. Chinello si mise al centro della ribalta (erano state intanto accese le luci) e rivolse al pubblico la parola di incitamento: “Veneziani, l’ultimo quarto d’ora per Hitler e i traditori fascisti sta per scoccare. Lottate con noi per la causa della liberazione nazionale e alle (così nel testo) bandiere degli eroici partigiani che combattono per la libertà dell’Italia dal giogo nazifascista.”

“L’inverno era stato duro per le forze della Resistenza e in seguito ai molti arresti e rastrellamenti perpetrati dai nazifascisti in Venezia e provincia lo stato d’animo delle popolazioni, ansiose della liberazione, era fortemente depresso.

E’ dalla valutazione che si dovesse necessariamente rialzare il morale delle nostre genti, prepararne l’animo alle esigenze insurrezionali così come prospettate dal CLN che trae origine l’azione di sfida che un pugno di garibaldini della Brigata Ga- ribaldi “F.Biancotto” compì la sera del 12 marzo 1945 al teatro Goldoni di Venezia. Da tempo stavo organizzando a Venezia in un’unica formazione militare scelti gruppi di patrioti, selezionati dalle precedenti esperienze di lotta clandestina. Pote- vo giovarmi, quali collaboratori, di elementi provenienti dalle squadre GAP(2) che sotto il mio comando avevano operato in Venezia durante parecchi mesi. Potevo altresì disporre di elementi provenienti dalle formazioni partigiane di montagna e di pianura, elementi disciplinati e provetti alle armi, che avevano una comune esperienza di guerriglia.

La maggiore difficoltà del mio compito, una volta riuscito ad inquadrare la formazione, consisteva nell’innestare nei singoli elementi di punta una coscienza e una disciplina militare vera e propria: ciò in quanto alcuni conservavano le caratteristi- che dei GAP.Preparai pertanto un piano d’azione (comizio antinazifascista in pubblico ritrovo) che servisse al duplice scopo di rialzare il morale sia della popolazione che delle or- ganizzazioni collegate al CLN e mortificare la iattanza dei nazifascisti, preparando così le premesse favorevoli per la non lontana insurrezione.

Il teatro Goldoni faceva al caso nostro, in quanto la topografia dello stesso presentava prospettive favorevoli.

Procedetti a una rigorosa selezione degli elementi che giudicavo idonei in rapporto al rischio e all’importanza dell’azione progettata: mobilitai e allenai con ogni mezzo dodici patrioti dotati di fredda audacia e di cui conoscevo l’assoluta riservatezza. Non mi è consentito dilungarmi per illustrare dettagliatamente i vari avvenimenti che ostacolarono, ritardarono e modificarono l’attuazione del piano. La sera del 5 marzo, comunque, il lavoro era giunto a buon punto: convocai alcuni elementi di punta ed affidai ad ognuno un preciso incarico di ulteriore ricerca e controllo. Ebbi modo in riunioni successive di assicurarmi di persona che ognuno era in grado di poter usare con destrezza le armi che ero riuscito a procurare: tredici revolver Beretta 9 e sei bombe a mano Breda.

Il piano definitivo così come lo illustrai ai miei garibaldini si presentava come segue: un patriota armato doveva difendere l’accesso alla portineria del teatro, tre di noi armati fra il pubblico pronti ad intervenire nel caso di reazione da parte dei nazifascisti presenti fra gli spettatori; gli altri nove con azione di forza dalla portineria avrebbero rastrellato corridoi e palcoscenico: luoghi dei quali avevamo tutti precisa conoscenza.

Una volta ripulito l’accesso avrebbero simultaneamente bloccato le due porte che comunicavano con la platea e sorvegliato la cabina telefonica.

Il patriota Chinello, a cui avevo fatto imparare a memoria un breve discorso, avrebbe tenuto comizio.

Si trattava, in sostanza, di disarmare i poliziotti di servizio e di mettere “faccia al muro” e “mani in alto” non meno di venti persone. Avevo provveduto affinché una barca con rematore fosse attaccata sulla riva del Carbone vicinissima alla portineria del teatro.

Un chirurgo di fiducia era a disposizione per tutta la notte. Potei altresì avvalermi della collaborazione del patriota Luigi Busulini, capo tecnico dell’Azienda elettrica “Cellina” il quale, a un dato segnale avrebbe provveduto all’occorrenza a tagliare i fili della luce elettrica della cabina situata a poca distanza dal teatro. Due donne (Maria Teresa Trevisan e Gina De Anna) avrebbero mantenuto il collegamento con Busulini che stazionava di fronte all’entrata principale del teatro.

L’azione si doveva compiere la sera dell’undici marzo ma l’allarme aereo ci obbligò a rimandare tutto per la sera successiva.

Coadiuvato dai miei collaboratori, riuscii a tenere sotto pressione i garibaldini per tutta la giornata garantendomi, con appropriate misure, affinché fosse mantenuto il necessario riserbo.

Tre elementi essenziali concorrevano a giustificare il mio piano: la conoscenza del luogo, l’esperimentata decisione dei garibaldini, l’elemento sorpresa. Oltre a ciò la rapidità dell’azione (che durò poco più di due minuti), il verosimile sbalordimento dei nazifascisti presenti avrebbero compiuto il resto. C’era pure un ultimo e non trascurabile elemento psicologico: quella sera si recitava “Vestire gli ignudi” di Pirandello. E avendo visto sempre il pubblico rimanere intontito di fronte ai mutamenti di scena creati dalla fantasia del nostro commediografo ne ho tratte le conseguenze del caso.

Giungemmo al momento buono.

Le disposizioni che avevo dato erano tali che bisognava assolutamente evitare che l’azione, attraverso atti irresponsabili dei nazifascisti, potesse degenerare con con- seguenze che ci sarebbero state ritorte dalla propaganda nemica.

Appena entrati in azione venne frustrato ogni tentativo di resistenza da parte di poliziotti e dei pompieri in servizio; gli attori, il personale e gli inservienti del teatro non si fecero pregare due volte per obbedire. Al momento dell’azione io Borella e Fevola sorvegliavamo i nazifascisti presenti fra gli spettatori. Pedrali e Dinello sorvegliavano l’entrata della portineria. Citton, Morosini, De Faveri e Guadagnin tenevano a bada gli uomini dietro il palcoscenico. Orcali, Chinello (alle ore 21.16 precise) entrarono mascherati e armi in pugno sulla ribalta e tennero comizio. “Nes- suno si muova! Se in teatro c’è spia e traditore fascista venga fuori che riceverà il piombo partigiano” — fu gridato all’interno dalla voce di Citton. Chinello si mise al centro della ribalta (erano state intanto accese le luci) e rivolse al pubblico la parola di incitamento: “Veneziani, l’ultimo quarto d’ora per Hitler e i traditori fascisti sta per scoccare. Lottate con noi per la causa della liberazione nazionale e alle (così nel testo) bandiere degli eroici partigiani che combattono per la libertà dell’Italia dal giogo nazifascista.

Noi lottiamo per poter garantire attraverso la democrazia e l’unità di tutti i partiti antifascisti l’avvenire e la ricostruzione della nostra patria.

Morte al fascismo! Libertà ai popoli!

Viva il Fronte della gioventù!

Nello stesso tempo Orcali e Padoan, ai due lati, sempre tenendo d’occhio gli elementi fascisti presenti, avevano gettato in platea mucchi di manifestini.

Prima di uscire dalla ribalta, Citton, entrato pure lui, secondo le istruzioni, gridò: “Il teatro rimane circondato per mezz’ora”.

I molti nazifascisti presenti (c’erano 4 della X Mas in seconda fila delle poltroncine; ufficiali e militi della GNR, ufficiali e soldati della Wermacht) rimasero sbigottiti e non reagirono.

E’ superfluo ogni commento: noi avevamo occhi dappertutto affinché i tre patrioti sulla ribalta non fossero facile bersaglio del nemico.

Pochi minuti dopo Borella, Fevola ed io, eravamo fuori del teatro: tutto era andato in perfetto ordine e le armi erano state consegnate all’uomo della barca. L’indomani l’avvenimento era di dominio pubblico e la popolazione l’apprese con non celata gioia.Le forze della resistenza, sia lecito sottolinearlo, ne furono rianimate, mentre cadde l’albagia e la sicurezza dei nazifascisti che fino ad allora avevano spadroneggiato nella città.

Qualche giorno dopo le radio delle Nazioni Unite ne fecero oggetto di onorevole commento”.

Nei primi mesi del 2001, scartabellando nell’Archivio di Venezia alla Celestia, assieme a Marco Borghi (attuale direttore dell’Iveser), un fascicolo di carte del “Fon- do Turcato”, Cesco Chinello(3) vi rinvenne un foglio protocollo manoscritto sulle quattro facciate intitolato “Rapporto sull’azione Goldoni”. Cesco Chinello scoprì che quella era la sua scrittura. Riportiamo un breve stralcio di quel rapporto, in cui Cesco commenta cosa avvenne nei due giorni successivi:

“Il mattino dopo, verso le undici, ci siamo ritrovati con Kim, Davide e qualche al- tro, a girare tra Campo San Luca, San Bartolomeo e Piazza San Marco. La voce del “colpo” si era diffusa come un lampo in tutta Venezia e non si parlava che di questo: noi camminavamo per la strada un po’ imbaldanziti, ma senza nulla rischiare per ovvie ragioni. Il caso ha voluto anche che incontrassimo Elena Zareschi: vista fuori dalla scena era tutt’altra cosa. Una magnifica giornata di sole che ricordo ancora con soddisfazione. Il giorno dopo abbiamo diffuso un volantino ciclostilato a firma del Fronte della Gioventù che, oltre ad esaltare la beffa, usava l’arma dell’ironia contro i fascisti seduti in platea al Goldoni:

Tra gli eroici fascisti presenti che non hanno fiatato sono stati notati il questore Cortese, il tenente Lino Bottacin, il giornalista Gastone Toschi, l’invincibile G.N.R., la terribile X Mas, le tremende brigate nere erano tutte degnamente rappresentate, ma pare non abbiano gradito il piatto freddo che i nostri valorosi partigiani hanno loro ammannito”(4).

1 Dal Diario storico della Brigata Garibaldi “Francesco Biancotto”, Venezia, contenuta in Giannanto- nio Paladini, Maurizio Reberschak, La Resistenza nel Veneziano, CPM Venezia, 1996, pp.450–453.

2 I GAP (Gruppi di Azione Patriottica) erano piccoli nuclei di quattro o cinque uomini, un caposqua- dra, un vice caposquadra e due o tre gappisti. Tre squadre di quattro uomini costituivano un di- staccamento, con alla testa un comandante e un commissario politico. Circa la loro composizione, Pietro Secchia scrisse: «A differenza delle unità partigiane, dove venivano liberamente accolti dai garibaldini i senza partito e gli aderenti ad altri partiti antifascisti, nei G.A.P. del P.C.I. venivano reclutati esclusivamente i comunisti, così come i G.A.P. di “Giustizia e Libertà” erano composti soltanto da aderenti al Partito d’Azione. La scelta era poi determinata dalla fede politica, dall’one- stà morale, dall’intelligenza e dal coraggio del militante. Solo i componenti di una stessa squadra dovevano essere a contatto fra loro. Bene addestrati, i singoli elementi, a differenza dei partigiani di montagna, se possibile conducevano un’esistenza alla luce del sole, spesso con un normale impiego dietro al quale camuffavano l’attività di guerriglia. In altri casi erano costretti alla clandestinità as- soluta. La loro azione, fondata sulla convinzione della necessità di incalzare il nemico senza tregua, aveva compiti di sabotaggio e di azioni armate, tra cui l’eliminazione dei nazifascisti in ambito

cittadino, soprattutto delatori, o noti torturatori.

3 Cesco Chinello è nato a Venezia nel 1925. Durante la Resistenza aderisce al PCI, subisce un arresto e un periodo di detenzione nel carcere cittadino di Santa Maria Maggiore. Fu uno dei membri della Brigata “Biancotto” che organizzarono e attuarono la beffa del Teatro Goldoni, gremito, quella sera del 12 marzo 1945, di fascisti e di tedeschi durante una rappresentazione di Pirandello.

Visto per il comando Piazza confermo

f.to col. G.Filipponi (Zucchi)

4 Fonte: La Lotta partigiana a Venezia e provincia nel ricordo dei protagonisti, interviste e testimo- nianze, Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Iveser), Cesco Chinello, Autobiografia resistenziale, in Memoria resistente, p. 930.

Di Giuseppe Turcato “Marco”

Commissario di guerra Brigata Garibaldi “Francesco Biancotto

Nella foto :1 maggio 1945, Riva degli Schiavoni molti dei protagonisti della beffa del Goldoni. In piedi da sinistra: Giovanni Dinello “Borel”, Renato De Faveri “Oc”, Cesco Chinello, Franco Arcalli “Kim”, Giuseppe Turcato “Marco”. Inginocchiati: Delfino Pedrali “Gastone”, Otello Morosini “Totò”, Ottone Padoan “Michele”, Giovanni Guadagnin “Gin”, Giovanni Citton “Moro”, Mario Osetta “Leo”.

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L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è un’associazione fondata dai partecipanti alla resistenza italiana contro l’occupazione nazifascista.

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