Anpi3Roma
5 min readMay 16, 2023

21 MAGGIO 1937

ECCIDIO DI DEBRE LIBANOS (ETIOPIA)

«Poco dopo l’incidente, il comando italiano ordinò la chiusura di tutti i negozi, ai cittadini di tornare a casa e sospese le comunicazioni postali e telegrafiche. In un’ora, la capitale fu isolata dal mondo e le strade erano vuote. Nel pomeriggio il partito fascista di Addis Abeba votò un pogrom contro la popolazione cittadina. Il massacro iniziò quella notte e continuò il giorno dopo. Gli etiopi furono uccisi indiscriminatamente, bruciati vivi nelle capanne o abbattuti dai fucili mentre cercavano di uscire. Gli autisti italiani rincorrevano le persone per investirle col camion o le legarono coi piedi al rimorchio trascinandole a morte. Donne vennero frustate e uomini evirati e bambini schiacciati sotto i piedi; gole vennero tagliate, alcuni vennero squartati e lasciati morire o appesi o bastonati a morte».

Prof. Harold J. Marcus

Anno 1937, ad Addis Adeba in Etiopia, durante l’occupazione dell’Italia fascista, il generale e viceré Graziani organizzò una grande cerimonia pubblica per onorare e festeggiare la nascita di Vittorio Emanuele, primogenito di Umberto II di Savoia.

Era il 19 Febbraio (giorno non casuale, perché in quella data in Etiopia cade l’importante festa della Purificazione della Vergine), quando improvvisamente due intellettuali eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom, lanciarono 7 o 8 granate verso il palco, facendo 7 vittime e una cinquantina di feriti, tra cui Rodolfo Graziani, colpito alla schiena da 350 schegge.

Subito dopo le esplosioni vennero sbarrate tutte le uscite del parco per non far fuggire gli attentatori, i militari italiani cominciarono a sparare a raffica sulla folla di etiopi presenti in sala per circa tre ore di fila; questo fu solo l’inizio, perché all’attentato dei due eritrei seguì una feroce reazione da parte degli italiani.

La repressione ordinata da Graziani, “necessaria” per Mussolini fu durissima (vi presero parte anche molti civili italiani abitanti della capitale, dando la caccia agli indigeni con manganelli e spranghe di ferro): vennero bruciate case, chiese, capanne, bestiame e raccolti; uomini, donne e bambini vennero uccisi a colpi di fucile, a bastonate, vennero appesi e frustati a colpi di scudiscio. La popolazione terrorizzata trova riparo dove può, addirittura 700 indigeni si rifugiarono nell’ambasciata inglese, ma appena uscirono vennero fucilati.

Secondo la stampa straniera del tempo, nel giro di un mese le vittime ammontarono dalle 3.000 alle 6.000, secondo gli etiopi 30.000.

Non trovando ancora i colpevoli, la rappresaglia proseguì: vennero deportati circa 6,500 etiopi, di cui la metà moriranno per malnutrizione e malattie, Graziani inoltre diede l’ordine, appoggiato da Mussolini, che venissero fucilati tutti gli indovini, stregoni e cantastorie colpevoli di annunciare la prossima fine dell’impero italiano in Etiopia.

Il tragico epilogo avvenne il 21 Maggio 1937 nella città-tempio di Debrà Libanòs, considerato dai cristiani abissini come una sorta di Vaticano etiope, distante 90 chilometri da Addis Abeba: i monaci del suo monastero, tramite indagini condotte in maniera sommaria, vennero accusati da Graziani di aver dato protezione ai due attentatori eritrei, quindi diede ordine al generale Pietro Maletti di “occuparsi” di Debrà Libanos.

Prima di tutto rinchiuse all’interno del monastero tutti i monaci, i pellegrini e anche i visitatori all’interno del monastero, bloccando tutte le uscite, poi dopo essere stati interrogati sommariamente, i prigionieri vengono tutti deportati, tranne i malati e i disabili che vengono uccisi all’interno delle mura.

Le persone catturate vengono portate a Lega Wolde, una piana non lontana, zona strategica perché coperta da colline evitando così testimoni, quindi i monaci e i diaconi prigionieri vennero destinati al plotone di esecuzione; si decise di optare per le mitragliatrici pesanti, perché i fucili vennero ritenuti inefficaci per il numero di condannati (secondo le ultime ricerche furono tra i 1.423 e 2.033), quindi vennero incappucciati e fatti accucciare sul bordo di un burrone; per cinque ore le mitragliatrici continuarono a sparare, ci furono solo alcune interruzioni per buttare le vittime giù dal crepaccio.

Nel dopoguerra, nonostante l’Etiopia fece molte richieste, nessun italiano venne mai punito, facendo così dimenticare uno dei tanti massacri compiuti nelle guerre coloniali in Africa.

«Tutti i civili che si trovano ad Addis Abeba, in mancanza di una organizzazione militare o poliziesca, hanno assunto il compito della vendetta condotta fulmineamente coi sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada. Vengon fatti arresti in massa; mandrie di negri sono spinti a tremendi colpi di curbascio come un gregge. In breve le strade intorno al tucul sono seminate di morti. Vedo un autista che dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara ed innocente. (…) 20 febbraio 1937, sabato. (…) Sono stato a visitare l’interno della chiesa di San Giorgio, devastata dal fuoco appiccato fuori tempo con fusti di benzina, per ordine e alla presenza del federale Cortese. (…) Alla sera cerco invano di ottenere dal colonnello Mazzi di telegrafare al giornale. Gli ordini di Roma sono tassativi: in Italia si deve ignorare. (…) Il colonnello Mazzi mi smentisce che nel santuario di San Giorgio siano state trovate mitragliatrici; è segno che l’incendio non era giustificato. Per tutta la notte, con un accanimento anche più feroce che nella notte precedente, si continua l’opera di distruzione dei tucul. Spettacoli da tragedia delle immense fiammate notturne. La popolazione indigena è tutta sulla strada. Impressionante indifferenza dei capannelli di donne e di bambini intorno alla masserizie fumanti. Non un grido, non una lacrima, non una recriminazione. Gli uomini si tengono nascosti, perché rischiano di essere finiti a randellate dalle orde punitive. Episodi orripilanti di violenze inutili. Mi narrano che un suddito americano, per avere soccorso un ferito abissino, è stato bastonato dalle squadre dei randellatori».

Testimonianza del giornalista Ciro Poggiali

Nel 1946, il Governo Etiopico presentò alla Conferenza di Pace di Parigi un memorandum che segnalava le seguenti sconcertanti perdite:

Uccisi in azione: 275,000

Patrioti uccisi in battaglia: 76,000

Donne, bambini ed infermi uccisi dalle bombe: 17,800

Massacro del 19 febbraio 1937: 30,000

Patrioti uccisi dalle corti marziali: 24,000

Patrioti morti nei campi di lavoro a causa di privazioni e maltrattamenti: 35,000

Persone morte a causa di privazioni dovute alla distruzione dei loro villaggi: 300,000

TOTALE: 760, 300 esseri umani assassinati

Gianmaria Anderle

La foto — presa da un ufficiale del battaglione coloniale

incaricato della fucilazione di Shunkurti — mostra i ‘cascì’

(preti copti) radunati prima dell’esecuzione, ed è datata 20

maggio 1937.

Anpi3Roma
Anpi3Roma

Written by Anpi3Roma

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è un’associazione fondata dai partecipanti alla resistenza italiana contro l’occupazione nazifascista.

No responses yet