“Arrivammo a Paneriai un pomeriggio, all’incirca nella prima settimana di luglio del 1941. Il giorno dopo udimmo, provenienti dal bosco a sud di Paneriai, spari di fucile e di mitragliatrice. Poiché eravamo in una zona retrostante il fronte volemmo chiarire la cosa. […]Quando giungemmo sul posto vedemmo dei lituani — che si trattava di lituani lo apprendemmo più tardi quando parlammo col capo del commando — che stavano fucilando in massa ebrei. Sulla strada che passava fra le due cave era piazzata, in direzione della cava di sinistra, una mitragliatrice leggera, manovrata ugualmente da lituani. Davanti alla mitragliatrice, sul limite della cava, stavano dieci condannati che in seguito ai tiri dell’arma finirono proprio nella cava. Guardai io stesso dentro la cava e vidi che tutto il fondo era già coperto di cadaveri…
Nel fossato scavato nell’altra parte del luogo dell’esecuzione si trovavano gli ebrei non ancora fucilati. Erano esclusivamente uomini, di ogni età. Vidi che dovevano togliersi scarpe e camicie e gettarle sull’orlo del fossato. I lituani che stavano là sopra frugavano fra questi oggetti. Vidi anche che in un posto davanti al fossato c’era un gran monte di scarpe e vestiti. Mentre gli ebrei si spogliavano, i lituani li colpivano con lunghi, grossi randelli e col calcio dei fucili. Poi, a gruppi di dieci venivano fatti uscire dal fossato e collocati davanti alla mitragliatrice.
Il capo dei lituani parlava bene il tedesco; andammo da lui e gli chiedemmo cosa stava succedendo, secondo noi era una vera porcheria. Allora ci spiegò che […] prima dell’arrivo dei tedeschi, alcuni genitori e fratelli di quei giovani lituani che eseguivano le fucilazioni erano stati, a suo dire, tenuti prigionieri nella stazione di Vilna, in attesa di venir trasferiti in Siberia. A causa dell’avanzata dei tedeschi questo trasferimento non aveva potuto aver luogo, cosicché tutte quelle persone rinchiuse nel vagone erano morte di fame. Il lituano però non ci spiegò perché — anche nel caso che questo racconto corrispondesse a verità — (cosa peraltro che io non credevo) questi ebrei venissero fucilati o se essi avessero avuto una qualche parte in quel fatto.”
Dichiarazione di un soldato motociclista tedesco (rilasciata nel 1959)
(E. Klee — W. Dressen — V. Riess, <<Bei tempi >>. Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l’ha eseguito e da chi stava a a guardare, Firenze, La Giuntina, 1990, pp. 37–38. Traduzione di P. Buscaglione Candela)
I tedeschi occupano Vilnius, Brest-Litovsk, e Kovno. A Vilnius la maggior parte degli abitanti ebrei (57.000) verrà uccisa nei boschi di Ponary, a pochi chilometri dalla città.
Il massacro incominciò nel luglio del 1941 quando una speciale unità dell’Einsatzkommando 9 radunò 5.000 ebrei di Vilnius e li uccise a Paneriai. Successivi eccidi, spesso promossi dalla polizia lituana, ebbero luogo durante l’estate e l’autunno: alla fine dell’anno oltre 40.000 ebrei erano stati uccisi a Paneriai. Del massacro esiste, non ancora tradotto in italiano, il “Ponary Diary 1941–1943” di un giornalista polacco, Kazimierz Sakowicz che, in modo oggettivo, da testimone non coinvolto, dà un terribile resoconto dell’uccisione di circa 50–60.000 ebrei lituani da parte dei nazisti e dei collaborazionisti lituani nella foresta di Paneriai (Ponary in polacco), appena fuori Vilnius. Il libro, che è uno più scioccanti documenti sulla Shoah, è stato pubblicato nel 1999 in polacco e nel 2005 in inglese da Yad Vashem. Come scrive Rachel Margolis nell’introduzione, il testo era stato scritto da Sakowicz in fogli di calendario che erano stati messi in bottiglie vuote di limonata, sigillati e sepolti nel terreno. Essi, alla conclusione della guerra, furono riportati alla luce da vicini di casa di Sakowicz e consegnati a Yad Vashem. La Margolis afferma che “gli storici ne hanno vietato la pubblicazione per molti anni, forse perché dà piena evidenza delle atrocità commesse dai lituani (i “Ponary riflemen” di Sakowicz) e dagli occupanti tedeschi della città”. La prefazione del libro è di Yitzhak Arad (direttore di Yad Vashem dal 1972 al 1993), autore di Ghetto in flames: the struggle and destruction of the Jews in Vilna in the Holocaust (1980).
Il numero totale delle vittime fino alla fine del 1944 si aggira dalle 70.000 alle 100.000. In seguito alle esumazioni post-belliche operate dalle forze sovietiche del 2º Fronte bielorusso, circa l’80% delle vittime fu di origine ebraica e proveniente dalle vicine città polacche e lituane, mentre il restante era composto da membri dell’intellighenzia e dell’esercito polacco, inclusi circa 7.500 prigionieri di guerra uccisi nel 1941. Nelle ultime fasi del massacro vennero uccise anche poche persone di altre nazionalità: russi, zingari e comunisti lituani. Le uccisioni di Paneriai sono attualmente motivo di indagine e approfondimento per la sezione di Danzica dell’Istituto polacco del Ricordo nazionale (in polacco: Instytut Pamięci Narodowej, IPN).
All’avvicinarsi delle truppe sovietiche nel 1943, le autorità tedesche cercarono di nascondere le atrocità commesse: un’unità di 80 internati del vicino campo di concentramento di Stutthof fu trasferita e incaricata di esumare i corpi per poi bruciarli. Le ceneri vennero miscelate con sabbia e reinterrate. Dopo sei mesi di lavoro, il 19 aprile 1944, l’unità di internati riuscì a fuggire e 11 sopravvissero per raccontare ciò che era successo.
Nella foto un soldato tedesco fa ciondolare una donna ebrea nel ghetto di Vilna (Lituania) per i suoi capelli.
Foto: Jewish State Museum of Lithuania / United States Holocaust Memorial Museum Photo Archive