AMALIA,LA POSTINA CHE SALVO’ OTTO FAMIGLIE DAI NAZIFASCISTI

Anpi3Roma
3 min readFeb 24, 2024

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“Non recapitò mai la lettera che avrebbe condannato a morte sicura i compaesani. Di quel gesto non fece mai parola.”

Oltre alla banalità del male, esiste anche il buon senso del bene. La filosofa tedesca di origine ebraica Hannah Arendt ha sintetizzato in «banalità del male» vita e azioni del criminale nazista Otto Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili dello sterminio degli ebrei prima e, soprattutto, durante l’ultimo conflitto mondiale.

All’opposto, si può coniare l’espressione «buon senso del bene», per il gesto di Amalia Varnerin. All’inizio del 1945 Amalia faceva la postina a Grizzo e, con la sua decisione, dettata da profondo senso di umanità e responsabilità, ha salvato da morte, deportazioni e persecuzioni nazi-fasciste una decina di famiglie del borgo.

Amalia, originaria di Tramonti di Sotto, sposata con Antonio Giacomello, abitava a Grizzo con il marito e il figlio Amedeo. La guerra stava dispensando sofferenze, lutti e fame. Amalia poteva tirar avanti con il lavoro di portalettere.

I molti anni di professione l’avevano resa esperta e partecipe ai tanti affanni e alle poche gioie delle quali apprendeva ogni giorno, girando in bicicletta di casa in casa per recapitare la corrispondenza. Intuiva dalla busta quale tipo di notizia potesse contenere.

Quella fredda mattina di gennaio del ’45, Amalia aveva per le mani una busta bianca, all’apparenza normale, ma gonfiata da troppi fogli. Il fatto, poi, che fosse indirizzata al comando tedesco di Roveredo in Piano, senza riportare alcun mittente sul retro, la qualificava come una lettera anonima. Né dubbi, né remore.

Appena individuata, Amalia aveva deciso di sottrarre la lettera dall’ufficio postale, portarsela a casa e leggerla. Subito dopo si era imposta di avvisare della gravità di quella denuncia anonima, scritta a macchina, sia gli interessati che il comando partigiano.

Tutte le famiglie denunciate dal delatore, grazie ad Amalia, non hanno subito conseguenze.

La missiva indica nel dettaglio quali partigiani Luigi Ellero “Gigetto” e Primo Fassetta “Battel”.

Il delatore si accanisce contro la famiglia di Sante Sanquerin, citando la moglie Emilia, le figlie Regina e Luigia. Viene segnalata la loro abitazione in Via Manin, quale dimora che serve per nascondere i partigiani alla macchia.

Con accanimento, l’anonimo chiede al comandante delle SS, (il criminale di guerra Alfred Dornenburg, detto “foghin” per la sua abitudine di incendiare le abitazioni dei partigiani e dei loro congiunti dopo averli fucilati) di «fare piazza pulita di tutti i componenti la famiglia Sanquerin».

La lettera anonima indica la casa della “Piticca”, altra famiglia di Grizzo, quale rifugio di Primo Fassetta “Battel” e denuncia le famiglie di Luigi Sgobba “Petos”, Pietro Comina “Meneghin”, addetto alla centrale elettrica, Umberto Torresin “Verdi”, Giovanni Alzetta “Molini” e (Boschian) Margris Gina di Giais, quali nuclei di «spalleggiatori, fornitori e porta ordini dei delinquenti» (partigiani).

L’anonima delazione si conclude con la richiesta al capo della SS di «agire con la massima sollecitudine a questa depurazione per la tranquillità di tutto il paese».

Amalia è mancata alla fine degli anni Cinquanta, consapevole di aver fatto una cosa giusta. La lettera, rimasta in un cassetto, è stata resa nota solo in questi giorni dalla preziosa attività di Luigino Alzetta, appassionato ricercatore di storia locale con il circolo di “Chei del Talpa — Gris”.

Ricerca a cura del circolo Chei del Talpa-Gris

SIGFRIDO CESCUT

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L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è un’associazione fondata dai partecipanti alla resistenza italiana contro l’occupazione nazifascista.