“TUTTO IL PAESE ACCUSA: ALBERTAZZI E’ COLPEVOLE

Anpi3Roma
5 min readJul 22, 2024

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Sestino.In paese avrebbero voluto dimenticare quel 27 luglio di quarantacinque anni fa. Quando Ferruccio Manini chiuse gli occhi a diciotto anni, sotto il fuoco di un plotone di repubblichini. Ma chi lo comandava, era un sottotenente che sarebbe diventato, anni dopo, famoso: Giorgio Albertazzi. E così la sporca vicenda è tornata alla luce: è entrata nelle case di tutta Italia quando Arrigo Petacco ha invitato Albertazzi a ricordare quell’ episodio alla trasmissione televisiva I giorni e la storia. Poi ancora, ieri mattina, un’ intervista dell’ attore è stata diffusa al giornale radio. Dichiarazioni accese, di chi non dimentica e non rinnega. E fra gli abitanti di Sestino è scoppiato lo sdegno. Il posto è un piccolo paese dell’ Aretino dove si arriva per una strada tortuosa e deserta. Dove tutti parlano già con la cadenza emiliana, dove tutti ricordano ancora i tempi in cui la Linea Gotica passava a pochi chilometri da qui: tra queste montagne, rifugio di partigiani. Prima ancora delle abitazioni si scorge il cimitero, e sui muri ci sono manifesti con su scritto viva la Resistenza. Sono freschi, perché domenica scorsa c’ è stata una cerimonia in onore di Ferruccio Manini, il giovane che fu fucilato proprio qui, il 27 luglio del ‘ 44, tra queste tombe. Dalle case, in piazza, sventolano ancora i tricolori, che la gente di Sestino si era dimenticata di ammainare. O non ha voluto farlo, per ricordare Manini, alla sua maniera. Non come ha fatto Albertazzi, con gran chiasso alla radio e in televisione. Per le strade, il sentimento è lo stesso: l’ offesa di sentirsi ancora protagonisti di un fatto che qualcuno ha definito una vigliaccata. Infastiditi dall’ improvvisa popolarità, sconcertati dalle dichiarazioni del celebre attore, che per molti sono bugie pure e semplici. E soprattutto, quello che qui nessuno perdona, è quel pentimento mai avvenuto. Non rinnego quello che ho fatto ha dichiarato più volte Albertazzi. E sostiene di essere stato processato per la presunta fucilazione di Manini, e poi assolto per non aver commesso il fatto. Ma qui a Sestino, qualcuno ricorda i fatti in maniera diversa. Ferdinando Bartolucci aveva allora 27 anni, ha la memoria fresca e ci tiene a parlare. Io ho visto, e non sono il solo. Albertazzi era sottotenente, ma il suo superiore, il tenente Pesaresi, quel giorno non c’ era. Fu lui a comandare il plotone di esecuzione, come fu lui a dare a quel povero ragazzo il colpo di grazia: un colpo in testa, secco. Se l’ ho visto? Certo, l’ ho ancora chiaro nella mente. E non ero il solo: c’ era con me mio padre, mio fratello, e altre persone. In sedici siamo stati chiamati a Bologna a testimoniare. E Albertazzi prima ha negato, poi è crollato e ha confessato tutto. Poi c’ è stato un altro processo ed è finito come sanno tutti: è stato assolto per non aver commesso il fatto. Ma io non mi dimentico, chieda in giro, qui sono in tanti ad aver visto. Suo fratello Dante conferma: aveva 21 anni ed è stato testimone. Nel cimitero non si poteva entrare, ma assistette alla scena da un distanza di 200 metri, con un binocolo. Albertazzi credeva che Manini fosse un partigiano. Invece era anche lui un repubblichino, che probabilmente aveva disertato. Fu un clamoroso errore, una leggerezza. Se solo ci fosse stato un regolare processo, si sarebbe evitata la fucilazione. Così è stata una infamia. Non si può dimenticare, anche se è passato tanto tempo. Ma a Sestino sono in tanti a voler dimenticare. A cominciare dal sindaco, che di questa faccenda non ne può più. Ha denigrato la mia popolazione. Non è vero che qui i partigiani hanno commesso quelle efferatezze che lui ha scritto. Legga qui, nel suo libro. Un perdente di successo: quante bugie, quante falsità. A Sestino i partigiani non hanno mai fatto guerriglia come dice lui. Si limitavano ad aiutare chi scappava oltre la Linea Gotica. Tutte queste storie, lui le ha inventate per giustificarsi. E poi perchè rivangare il passato? Noi, di Albertazzi, ne facevamo volentieri a meno. Chi lo ha cercato? Mi creda, è nato tutto per una sfortunata coincidenza. Domenica volevamo celebrare l’ anniversario, e lui ci ha preceduto con quella maledetta trasmissione. Il mio giudizio su di lui? Pessimo. E’ stato un attore comprimario: era sottotenente, è venuto qui a fare la bella vita, ha rovinato un matrimonio diventando l’ amante di una signora del paese, il cui marito poi è scappato in Argentina. Ma l’ ha letto il libro? Un insieme di volgarità. Dice di aver pianto per Ferruccio Manini: potevamo aspettarci pentimento da un tipo simile, anche se sono passati quarantacinque anni? Qui se lo ricordano giovane, biondo, aitante. Era bello, gli piacevano le donne, gli piaceva comandare. Ma Sestino è schierata contro di lui. Anche se sono pochi quelli che ammettono di avere visto la fucilazione. Chi non c’ era, chi ha solo sentito gli spari. Ma forse non è poi così importante che Albertazzi sia stato l’ esecutore materiale della fucilazione. Rimane in ogni caso un nemico, uno di quelli che qui veniva a comandare, mentre pochi chilometri più in là c’ erano già gli alleati, c’ era già la libertà. Bruno Ercolani è il testimone più prezioso: qui in paese fanno subito il suo nome, e lo mandano a chiamare. Nel ‘ 44 era a capo del gruppo partigiano Montefeltro: per le montagne trovò Ferruccio Manini che scappava, o forse si era solamente perduto. Certo, era un repubblichino dice Ercolani, ma non si era arruolato volontario. Era sperduto, non sapeva cosa fare e io lo presi con me. Non è vero, come dice Albertazzi, che avevamo fatto azione di guerriglia. Siamo caduti in un’ imboscata, e ci scappò il morto, il Fischietto, l’ attendente di Albertazzi. Ferruccio fu preso, e per cinque o sei giorni fu tenuto prigioniero nel teatro. Poi, senza un processo, senza un ordine gerarchico, fu ammazzato. Io non ho visto chi ha sparato, né chi comandava. Intervenire fu impossibile, sarebbe stata una carneficina. Ferruccio me lo ricordo continuamente: domenica è stata innalzata una lapide. L’ ho voluta io, l’ ho pagata io. Se riesco a perdonare? Eravamo in schieramenti opposti, due nemici ma di pari grado. Lui probabilmente ha obbedito agli ordini. Non serbo rancore, ma il ricordo, quello, rimane. Anche se la mia coscienza è a posto. Il mio compito è finito. Ho messo la lapide, non voglio che se ne parli più. Almeno, non pubblicamente.

MANUELA ZADRO Da Repubblica.it 26 luglio 1989

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